Distopici/Ucronici, Recensioni

Non lasciarmi

Titolo OriginaleNever let me go
Autore:Kazuo Ishiguro
Anno:2005
Titolo in italiano:Non lasciarmi
Genere:Drammatico/Distopico
Edizione:Einaudi

Mi chiamo Kathy H. Ho trentun anni, e da più di undici sono un’assistente. Sembra un periodo piuttosto lungo, lo so, ma a dire il vero loro vogliono che continui per altri otto mesi, fino alla fine di dicembre.

Trama:

Kathy, giovane assistente racconta la storia della sua vita passata al fianco degli amici Ruth e Tommy prima nel collegio di Hailshaim e poi nei cottages fuori dall’istituto. Crescendo incontreranno sul loro cammino parole come “donatore” e “assistente”, scoprendo la predestinazione delle proprie esistenze.

Non lasciarmi è un romanzo ambientato tra gli anni ’70 e 90′ nelle campagne inglesi in una realtà alternativa. Si parla quindi di ucronia ma diventa difficile spiegare qual è l’elemento principale che ne determina la classificazione, senza rivelare il tema di fondo e parti importanti della trama, rovinando così la lettura. Posso però assicurarvi che non sono presenti elementi magici, mentre gli elementi fantascientifici – se così li vogliamo definire – sono verosimili se rapportati al nostro presente.

Il libro è suddiviso in tre parti, ciascuna di queste si svolge in un luogo principale: la prima nel collegio di Hailsham, la seconda nei cottages ed infine la terza ed ultima nel centro Kingsfield. Grande spazio è dato alle descrizioni dei paesaggi naturali tipici delle campagne inglesi. In generale tutti i luoghi vengono dipinti con tinte fredde e se ad Hailsham sono legate le memorie più ricche di colori, suoni e risate, verso la fine del romanzo ci troviamo in ambientazioni sempre più spoglie ed asettiche.

Lo stile di scrittura – mi baso sulla traduzione italiana non avendo letto il libro in lingua originale – è semplice, pulito ma con un forte potere evocativo.

La storia è narrata in prima persona da Kathy, la protagonista. Un lungo e continuo monologo ricco di flashback e spiegazioni che ci fa ripercorrere tutto l’arco della sua vita e dei suoi amici Ruth e Tommy.

Giunta a questo punto della recensione, abbandono gli aspetti più oggettivi del romanzo per raccontare quella che è stata la mia esperienza di lettura.
Cito Wikipedia: “Il Time ha giudicato quest’opera come il migliore romanzo del 2005 e l’ha inserito nella lista dei cento migliori romanzi in lingua inglese pubblicati dal 1923 al 2005.”

“Houstun, ho un problema”. Davvero, ho solo letto recensioni positive di questo romanzo e ne ho sempre sentito parlare bene ma, proprio non è riuscito a trasmettere nulla, tanto che sono arrivata al punto di mettere in discussione i miei gusti letterari.
Tornando a noi, non voglio certo limitarmi a scrivere un semplice “non mi è piaciuto”, ecco quindi l’analisi e l’opinione personale di alcuni elementi.

I protagonisti.

Kathy è la voce narrante che ci accompagna per l’intero romanzo. Quasi trecento pagine passate in compagnia delle sue esperienze, delle sue emozioni, dei suoi ricordi, dei suoi rapporti sociali eppure, arrivata alla fine del romanzo non saprei descrivere la personalità di questo personaggio se non con pochissimi aggettivi, tra cui mansueta, riservata e anaffettiva. Mercoledì Addams in confronto è il ritratto dell’esuberanza.

Ruth, la grande amica di Kathy, è un personaggio infantile, geloso, invidioso e forse ci troviamo davanti la personalità più intrigante del trio dei protagonisti – ed è tutto dire.

Il terzo protagonista è Tommy. Fin dalle prime pagine ci imbattiamo nei suoi attacchi d’ira, sperando che con l’evolversi della trama e con la crescita del personaggio, questi portino a sentimenti di ribellione e di iniziativa. Invece no, ignavo e passivo per tutto il resto del romanzo.

Si potrebbe argomentare questa mancanza di personalità e di reali aspirazioni del trio, come una scelta ben meditata dell’autore sulla base della predestinazione arbitrata dalla società sull’esistenza dei personaggi e, di come sin da bambini siano stati indottrinati ed inseriti nel sistema, per cui tutti loro non avessero effettivamente le opportunità per generare e manifestare sentimenti di ribellione.
Potrebbe essere una chiave di lettura ma, sono comunque in disaccordo. È impossibile che nessun studente abbia mai provato a scappare per cambiare vita e realizzarsi al di fuori dei ruoli donatore/assistente. Persino Kathy dopo aver sofferto tanto continua indolentemente ad esistere.

La trama.

Per due terzi del libro assistiamo a continue scene di avvicinamento e litigi tra i tre protagonisti ma, effettivamente quale contributo apportano alla trama? Se intendiamo le prime due parti come preparazione alla grande rivelazione finale, non possiamo che rimanere estremamente delusi.
Non si crea suspance, il mistero non cresce, la sconvolgente rivelazione è davvero telefonata ed anche sul finale, il lettore ottiene una serie di risposte non esaustiva.

La trama non è tutto, in alcuni casi serve unicamente quale scheletro su cui costruire un universo di relazioni umane e sentimenti o, ad indurre il lettore a riflettere su determinati argomenti, valori e ideali.
Assolutamente, vero, ma in questo caso nessuno dei punti citati è sufficientemente forte da far dimenticare che praticamente non succede nulla se non nelle ultime pagine. O meglio, ogni accadimento non scatena alcun tipo di reazione per cui, è come se effettivamente non esistesse.

Il coinvolgimento del lettore.

Sommando gli elementi dei personaggi e della trama, la mia personale esperienza di lettura è stata davvero sterile. Ho trovato noiosa la prima parte, poco interessante la seconda e deludente dal punto di vista emotivo la terza.

Cito quanto riporta la seconda di copertina dell’edizione Einaudi:
«Non lasciarmi è prima di tutto una grande storia d’amore. È anche un romanzo politico e visionario, dove viene messa in scena un’utopia a rovescio che non vorremmo mai vedere realizzata su questa terra. È uno di quei rari libri che agiscono sul lettore come lenti d’ingrandimento o cannocchiali: facendogli percepire in modo dolorosamente intenso e vicino la fragilità, la provvisorietà, la finitezza della vita, di qualunque vita.»

Il romanzo è scritto bene, il tema di fondo è interessante ma di tutta quella grandezza sopra citata, non ho sentito emozioni nella tragedia, né orrore nell’orrore.


Mi dispiace davvero di non essere riuscita ad entrare in sintonia con il romanzo, sono sicura che in futuro leggerò altri titoli di Ishiguro per cercare di capire meglio la sua opera.
Ho scritto una recensione molto negativa ma del tutto personale, sono sicura che la maggior parte del pubblico abbia apprezzato molto questo romanzo.

Leggendo questo libro ho pensato più volte al film diretto da Michael Bay, The Island, uscito al cinema proprio nel 2005, stesso anno di pubblicazione del libro di Ishiguro. Nel 2010 da questo romanzo è stato tratto l’omonimo film.

Chiunque abbia voglia di iniziare una discussione sull’opera nei commenti è il/la benvenuto/a.

Consigliato? Dicono di sì, io l’ho detestato.

Classificazione: 2 su 5.

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